GENERATION GLOBAL ALL’AULA 2030
Al termine del workshop Generation Global, a cura di Institute for Global Change, i ragazzi di alternanza scuola-lavoro, insieme al team Riconnessioni intervistano Christopher Muscat, docente dell’Istituto 8 Marzo di Settimo Torinese e responsabile della videoconferenza in cui classi connesse da tutto il mondo dialogano su questioni di cultura, identità, credenze, valori e atteggiamenti.
Com’è nato il progetto Generation Global? E qual è il suo obiettivo?
Generation Global nasce nell’ambito del Tony Blair Institute di Londra, sostenuto dall’omonimo Primo Ministro inglese che dal 1997 al 2007, ha voluto la creazione di questo progetto per far sì che la globalizzazione sia “al servizio dei molti e non dei pochi”, aiutando i Paesi e le loro popolazioni ad affrontare le nuove sfide mondiali.
L’obiettivo delle videoconferenze è quello di “far dialogare i ragazzi di tutto il mondo, affinché la diversità diventi una ricchezza comune, superando barriere come quelle della lingua, del colore della pelle o della religione” ha affermato Muscat.
Come possono prender parte le scuole al progetto? Quante sono ad oggi le scuole coinvolte?
Il progetto è aperto a tutte le scuole, che attraverso la Rete Dialogues possono iscriversi e prendervi parte liberamente. Si tratta di una comunità di apprendimento professionale “intergenerazionale”, formata da scuole, dove docenti e studenti sperimentano percorsi didattici e formativi per praticare il dialogo interculturale come fondamento della cittadinanza globale.
Ad oggi, afferma Muscat, “l’Italia conta già la partecipazione di 50 scuole, ma è un numero che miriamo a far crescere, anche a livello internazionale, dove invece le Nazioni coinvolte sono già una trentina: dagli Stati Uniti, al Messico, Filippine, India e molte altre”.
Quale deve essere il ruolo degli insegnanti?
“Generation Global è un progetto pensato per i ragazzi e devono essere loro i protagonisti; gli insegnanti durante la conferenza devono mantenere un ruolo marginale”, ha spiegato il docente, che ha però aggiunto come l’insegnante abbia un ruolo fondamentale nella preparazione dei ragazzi alla videoconferenza.
Sono infatti gli insegnanti che dal sito di Rete Dialogues possono scaricare materiali didattici e documenti informativi che i ragazzi devono utilizzare da supporto per le loro riflessioni sui temi discussi.
Chi modera il dialogo allora?
“Oltre alle scuole durante le conferenze sono connessi i facilitators, veri e propri moderatori che controllano il buon andamento del dialogo, che pongono domande e controllano che tutte le classi intervengano nella discussione”.
E si discute solo di cittadinanza globale?
“No affatto! I temi possono essere molto diversi: dalla religione, all’ambiente, alla cultura. L’importante non è tanto la lingua o l’argomento su cui si discute: questi sono solo mezzi; ciò che è importante è far comunicare i ragazzi, far sì che creino legami”.
Dialogate solo in inglese quindi?
“Quando si tratta di videoconferenze internazionali, che coinvolgono più nazioni come quella di stamattina l’inglese è necessario, perché è la lingua comune. Ci sono però casi in cui le videoconferenze avvengono tra scuole dello stesso Paese, in quelle occasioni è possibile utilizzare una lingua nazionale, ad esempio perché no, dialoghi in indù”.
Alla fine della Conferenza, come rimangono in contatto i ragazzi? Come va avanti il progetto?
“Alla fine delle conferenze i ragazzi possono continuare a discutere e riprendere nelle loro classi gli argomenti trattati. Spesso possono scambiarsi contatti con gli alunni delle scuole con cui hanno comunicato e anche noi docenti possiamo scambiare opinioni e riflessioni con gli insegnanti delle altre scuole. Attraverso la costruzioni di nuovi spazi di comunicazione vogliamo ampliare il progetto per dare continuità a questo confronto intercontinentale e creare una generazione globale per il futuro”.